(di Nicoletta Lanciano, Università di Roma – La Sapienza, aprile 2014)
Il 12 dicembre 2013 Emma Castelnuovo ha compiuto 100 anni: dopo la laurea in Matematica nel 1936, ha passato 40 anni, dal 1938 al 1979, nella scuola. Prima era stata Bibliotecaria presso l’Istituto Matematico che oggi porta il nome di suo padre, all’Università “La Sapienza” di Roma, poi ha vinto il concorso per insegnare nella scuola media ma, essendo ebrea, è stata sospesa dal servizio ed ha insegnato nella scuola per gli studenti ebrei, esclusi dalla scuola pubblica dalle leggi razziali, fino al 1944; dal ritorno alla democrazia, e fino al 1978-79, ha insegnato solo matematica presso la scuola media Tasso di Roma. E’ morta il 13 aprile del 2014.
Emma è figlia d’arte: figlia del matematico Guido Castelnuovo e nipote del matematico Federico Enriques (lo zio Ghigo) di cui ha scritto ”lui vedeva nello spazio e ci invitava continuamente a guardare con la mente”: due persone che hanno molto riflettuto anche sul valore sociale della scuola e della cultura e che hanno lavorato per una scuola di tutti.
Ha mantenuto rapporti con moltissimi dei suoi allievi attraverso lettere, telefonate e visite nelle quali era solita dire “un’altra volta, non aspettare altri 50 anni a farti vivo!”.
Alcuni elementi del metodo didattico di Emma li ho conosciuti da tirocinante, alla fine del corso di Laurea in Matematica, attraverso il suo “buon esempio”: per 3 anni scolastici consecutivi, sono stata nelle sue classi della scuola media. Ho incontrato così l’uso del materiale concreto, manipolabile che si trova nello spazio a tre dimensioni e non solo di immagini “spiaccicate”, come spesso ci ha detto, “sul foglio”. Un materiale che può essere dinamico, mobile, che quindi coinvolge lo spazio tridimensionale, ma anche il tempo, e che fa incontrare gli oggetti con il corpo, e non solo con la mente. E per usarlo è necessario attivare le mani, la gestualità, il movimento e tutto ciò, come le neuroscienze ci spiegano sempre più chiaramente, apre la mente, aiuta la costruzione della propria conoscenza.
Emma, grazie certamente anche alla scuola dello zio Ghigo (Federigo Enriques), ha praticato una grande ricerca di esempi e di tematiche a partire dalla storia della matematica, nella matematica antica – penso agli esempi dai trattati di Archimede – ma anche nelle ricerche di frontiera della matematica attuale – ad esempio il lavoro sui frattali, proposto più di 30 anni fa, nel suo libro “per tutti” Pentole, ombre, formiche, e nelle ultime edizioni dei suoi libri di testo per la scuola media, ancora in circolazione. In entrambi i casi, il suo è stato un gran lavoro del togliere, per rendere “facili” e leggibili, i percorsi all’interno delle problematiche affrontate, usando gli strumenti matematici più semplici possibili, quali la similitudine o la scomposizione in figure equivalenti, piuttosto che formule più avanzate ma meno “trasparenti”. Comunque ha avuto l’intento di dare una storicità al sapere scientifico, che si inserisce nella storia dei popoli, negli interessi e nelle questioni che li preoccupano: non è vero che con Euclide la matematica è già tutta definita, c’è ancora spazio per inventare, trovare nuovi argomenti e nuove soluzioni. E questo per i suoi allievi voleva dire: pensate matematicamente, potete inserirvi in questa storia che non è già tutta confezionata e conclusa, come spesso, a scuola, può sembrare.
Emma ha esplicitamente detto più volte che il suo intento, condiviso con suo padre Guido nelle sue battaglie dell’inizio del secolo, era cercare di evitare che la matematica fosse un’arma selettiva sul piano sociale. Promuovere, invece, tutti gli allievi e tutti i tipi di intelligenze attraverso l’esaltazione dell’intuizione, dell’approssimazione successiva anche sul piano linguistico, del provare a cercare in proprio anche se a volte poi si arriva ad un vicolo cieco. Cercare di evitare che la matematica sia antipatica, che non se ne scopra e non si abbia l’occasione di riconoscerne la bellezza che si incontra, ad esempio, quando si ha la sensazione di aver “scoperto”, nella propria mente, qualcosa. Le sue parole, ascoltate a Limoges nel 1977, durante la mia prima Esposizione con il suo gruppo, all’estero, pochi mesi dopo la mia laurea, parole ritrovate e rilette in tempi recenti, mi hanno accompagnato indelebili in tutti questi anni: “Perché, a mio avviso, l’obiettivo più importante di un insegnamento matematico in una scuola uguale per tutti è quello di formare qualcuno che sia in grado di comprendere l’ambiente in cui vive, di cogliere il senso della matematizzazione di un fenomeno biologico o economico o …; di formare qualcuno che possa meglio apprezzare una realizzazione artistica comprendendo la matematica che ne sta alla base.” Di ognuno dei suoi allievi scrive “sta costruendo la matematica attraverso la sua osservazione, la sua immaginazione, attraverso quel “saper vedere in matematica” che precede, anche nei matematici, ogni opera di sistematizzazione.” Prima che se ne parlasse in termini più strutturati, Emma ci parlava di quella che è stata poi definita la “trasposizione didattica”, raccontando il suo lavoro, quello che c’era dietro quelle lezioni così particolari per cui gli allievi la ricordano dopo decine di anni: “Il lavoro del maestro è duplice: innanzitutto è uno studio di ricerca: come sviluppare tale o tal’altra teoria a partire dal concreto, un concreto che sia capace di motivare i ragazzi senza abbassare lo spirito di quella teoria. Si tratta di un lavoro che dura dei mesi, degli anni talora, e che evidentemente concerne studi di storia della matematica e studi di psicologia. Bisogna ricostruire la storia (pensiamo per esempio al capitolo dell’affinità) scostandosi dalla storia classica. È un lavoro che noi facciamo a volte tutti insieme, a volte in piccoli sottogruppi del gruppo degli amici di Roma. Ma, evidentemente, il maestro ha ancora un altro lavoro, il lavoro in classe: perché molto spesso accade che difficoltà o suggestioni da parte degli allievi ci costringono a cambiare percorso, a dare significato, a vederci più chiaramente.”
Non posso non nominare quella particolare forma didattica che sono le Esposizioni di matematica in cui i suoi allievi diventavano “professori”. Attenzione: durante le Esposizioni i suoi allievi ponevano domande ai visitatori, adulti e professori, coetanei e familiari: non “raccontavano cose” ma osavano interrogare, e quindi mettersi nelle condizioni di non capire esattamente ciò che veniva loro risposto dal pubblico o di dover spiegare di nuovo e con altre parole uno stesso argomento. Le esposizioni sono strumento formidabile, che personalmente uso ancora nei miei corsi universitari, e che sostituisce con una grande carica di verità, esami e interrogazioni da parte di un docente che già sa ciò che chiede ai suoi allievi.
Abbiamo avuto modo di incontrare, in diverse occasioni, ed in forma esplicita o appena accennata, l’impegno di Emma per una scuola per tutti, democratica e laica, per i più deboli e per una matematica che sia a servizio della libertà e dell’espressione e non del potere e dell’oppressione.
Anche per questi valori condivisi Emma ha incontrato il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) (www.mce-fimem.it) e ha pubblicato diversi articoli su Cooperazione Educativa, la rivista del Movimento: nel 2002 un gruppo di allievi e collaboratori di Emma ha dato vita a corsi residenziali di formazioneper gli insegnanti denominati “L’Officina Matematica di Emma Castelnuovo”, presso la Casa Laboratorio di Cenci, (www.cencicasalab.it), in Umbria, in collaborazione con l’MCE, che proseguono ancora.
La coscienza di fare un lavoro di ripensamento dei programmi scolastici, in particolare per quanto riguarda la geometria, con un respiro ampio, ha sempre portato Emma a parlare e a scrivere in modo molto forte e chiaro, fin dalla sua prima partecipazione ad un incontro internazionale, in Francia, nel 1949. Emma ha denunciato, ha collaborato ad esempio alla stesura dei nuovi Programmi della scuola media del 1979, ma già prima aveva dato il suo contributo alla struttura degli esami della scuola media unica, e poi ancora ha lavorato, per un certo periodo, nella Commissione guidata dal Ministro De Mauro per la revisione dei programmi scolastici. Ha fatto una battaglia, che sembrava contro i mulini a vento, quando negli anni 1960 con Lucio Lombardo Radice hanno chiesto, e di fatto realizzato, i primi tirocini nelle classi scolastiche per i laureandi dell’indirizzo didattico del corso di laurea in matematica.
L’ultimo riconoscimento avuto, a livello nazionale, è espresso dal premio Nesi della Fondazione Nesi di Corea (Livorno) per esperienze nel campo dell’emancipazione delle persone attraverso attività socio-educativo-culturali, che ha ottenuto nel 2013, e che le è stato conferito il 9 dicembre 2013 a Roma presso il MIUR con una cerimonia a cui hanno partecipato ex allievi della scuola ebraica e del Tasso, ex tirocinanti, e tanti tanti amici di tutte le età.
(Vedi https://www.youtube.com/user/MinisteroMIUR ).
Precedentemente ricordo in particolare il Convegno Internazionale dell’ottobre 1979, presso l’Accademia dei Lincei, in “Omaggio a Emma Lina”, quando, con l’amica Lina Mancini Proia, è andata in pensione. E poi la Conferenza Generale da lei tenuta in apertura del primo Festival della Matematica all’Auditorium di Roma nel 2007, quando aveva 94 anni.
Il suo respiro internazionale – parlava benissimo francese e spagnolo – la ha portata ad apprezzare maestri e colleghi senza frontiere; una curiosità aperta la ha portata a guardare senza pregiudizi e senza “a priori” persone di diverso rango accademico e di varia provenienza sociale.
L’ICMI (International Commission on Mathematical Instruction) che ha lo scopo di seguire lo sviluppo dell’educazione matematica a tutti i livelli scolari, ha dedicato a Emma per i suoi 100 anni, una medaglia che costituisce un premio per chi si distingue nell’insegnamento della matematica, e che fa seguito alle medaglie dedicate a Felix Klein e a Hans Freudenthal.
“Infine, mi piace insistere su una cosa che a mio parere è la più importante: si sa molto bene come l’insegnamento della matematica possa giocare da “arma di selezione” nel marcare la differenza tra ragazzi che provengono da un ambiente sociale elevato, le cui facoltà di astrazione e di espressione sono più sviluppate, e quelli che sono i primi delle loro famiglie a seguire studi secondari. Ma, al contrario, in una classe in cui si seguono le vie naturali del pensiero, partendo dunque dal concreto, è proprio l’insegnamento della matematica che può giocare un ruolo formidabile nel senso dell’uguaglianza sociale, perché sono soltanto le facoltà d’osservazione, di immaginazione, di ragionamento “naturale” che rendono uguali tutti i ragazzi di fronte ad una situazione matematica. E dal momento che la nostra “scuola media” è uguale per tutti, è proprio lo scopo dell’uguaglianza che noi cerchiamo di raggiungere attraverso la matematica.” (Emma Castelnuovo, Limoges 1977)